Riflessioni di un’insegnante che forse non vuol fare l’insegnante, racconto di Artina

Anche questa domenica sta per finire. Ho pianificato le lezioni per la prossima settimana. Adesso mi ritrovo con due quinte da portare agli esami di maturità e credo in tutta sincerità di non essere all’altezza di fare l’insegnante. Ma ormai mi ritrovo dentro, devo onorare un contratto e poi – parliamoci chiaro – qual è l’alternativa? Lasciare il lavoro?

Venerdì scorso, ho spiegato agli allievi del serale il crepuscolarismo e il futurismo; abbiamo letto il manifesto del movimento futurista e alcuni testi per rintracciare i motivi e le caratteristiche della poetica direttamente nelle poesie. Io vorrei trasmettere l’amore per la letteratura, per la scrittura, ma loro sono presi da tutt’altro. Si tratta di una scuola privata, sono ragazzi viziati, pieni di soldi, maleducati, convinti che “debbano essere” promossi perché PAGANO. Non sanno confrontarsi con niente e nessuno, hanno difficoltà a fare un discorso di senso compiuto e credono che tutto gli sia dovuto. Parlano perennemente di soldi, automobili, telefonini, Dolce e Gabbana e non sanno chi sia Prodi. Abbiamo letto insieme un articolo sulla crisi di governo. Non gliene poteva fregar de’ meno. Ho cercato di conoscerli meglio, di chiedere loro quali aspettative avessero, quali sogni, quali obiettivi, ma le risposte sono state disarmanti. Alcuni vogliono solo avere il pezzo di carta per occupare un posto conservato per loro da tempo. I papà pensano a tutto…! Non hanno idea del sacrificio, della voglia di andare avanti, dell’amore per qualcosa.

Sono aridi dentro e lo dimostrano in ogni occasione. Venerdì sono finiti dal Preside, uno di loro ha strappato il compito in classe, un altro ha consegnato in bianco e non ci sono note che bastino, nessuna ramanzina che produca qualche risultato. E poi, possiamo essere sinceri fino in fondo? Io non li stimo per niente, li trovo ridicoli, ignoranti, stupidi, aridi. Fanno e dicono cose troppo stupide ed evidentemente quello che penso di loro si intuisce benissimo. Mi ero messa in discussione all’inizio, pensavo di non essere in grado io (questo lo penso tuttora), che fosse colpa mia, che non sapessi prenderli per il verso giusto ma loro sono maleducati e insolenti nel profondo con tutti quanti, dal preside alla segretaria, dai bidelli agli insegnanti. Ricordo con più dolcezza i ragazzini della scuola media dello ZEN, loro sì che hanno problemi seri, alcuni di loro non conoscono neanche l’orologio, vivono in un quartiere che malfamato è dire poco. Si confrontano tutti i giorni con realtà con cui nessun bambino dovrebbe avere a che fare. Eppure, in qualche settimana, siamo riusciti ad avere un dialogo, a guardarci negli occhi e, se prima una mia pacca sulla spalla veniva scansata, negli ultimi giorni del mio incarico, era invece sollecitata. E questo mi intenerisce, quell’esperienza per tanti versi “estrema” (la maggior parte dei ragazzi uscivano da carceri minorili, si ammazzavano tra di loro persino in classe e mettevano le mani addosso agli stessi insegnanti, i bidelli fungevano da guardie carcerarie) mi ha messo in contatto con una realtà che ignoravo, così vera. Ragazzi felici per un lecca lecca, una figurina, a volte persino un sorriso. Confrontarmi adesso con adolescenti viziati che parlano continuamente di soldi e firme, che vanno dal parrucchiere due volte a settimana anche per fare lo shampoo, che comprano jeans da 300euro, che cambiano cellulare ogni mese e che non guardano neanche un telegiornale, mi fa davvero cadere le braccia.