Un tempo andare bene a scuola era un vanto. Leggere il tema del genio di turno era un modo per valorizzare il suo lavoro. Era dare un esempio. Oggi no. Prendere a modello il quaderno di una studentessa e mostrarlo alla classe per far vedere come l’insegnante vuole si svolgano i compiti assegnati è condannare la brava studentessa ad essere “derisa a vita” dai compagni (almeno fino al diploma). E il genitore in riunione scuola-famiglie, impersonando finto imbarazzo per l’estro intellettuale della propria creatura, chiede “pubblicamente” all’insegnante di complimentarsi col figlio “privatamente” per non far sentire il ragazzo diverso dagli altri. Ma ben venga la diversità, no? Una volta il punto d’arrivo per uno studente era distinguersi. Ora bisogna che tutti siano uguali, che tutti si assomiglino almeno. E quello che era un modello è oggi candidato al premio dell’illogicità e per questo guardato come un marziano. Non parliamo poi di evidenziare le manchevolezze o illustrare in classe gli errori di qualche alunno per poi correggerli. Quello è oggi mortificarli, schernirli, addirittura disprezzarli. E la strada per lo psicologo è presto tracciata. Una volta invece voleva dire temprarli, fissare quegli errori per non ripeterli più. E davvero si imparava. Un tempo c’era meno confusione. L’insegnante era l’insegnante, il genitore era il genitore e lo studente studente. Ognuno con le competenze, i limiti e l’umanità di cui era portatore svolgeva il proprio ruolo come poteva. Poche volte questi ruoli erano sottoposti a pubblico giudizio. Oggi no. Lo studente valuta, interpreta, giudica, pretende. Il genitore consiglia agli insegnanti i metodi, come prendere il proprio figlio, dà le dritte (!?!), accampa giustificazioni per tutto e solo poche volte ascolta. L’insegnante sopravvive e si barcamena tra leggi, obiettivi da raggiungere, programmazione, psicologi, educatori, famiglie allo sfascio, proprie frustrazioni.
Un tempo le “parolacce” erano bandite, almeno in classe, durante le lezioni. Oggi infarciscono e scandiscono ogni momento dell’attività didattica e se l’insegnante ricorre ad ovvi ammonimenti viene tacciato di non essere all’avanguardia e di non andare “oltre”. Se un insegnante dopo una giornata da dimenticare pronuncia “mezza” parolaccia… eh no!! Bisogna dare il buon esempio. Certo! tutto fila, no?
Un tempo si mangiava durante la ricreazione. Ora non solo durante la ricreazione.
Un tempo essere sospesi era una vergogna. Oggi si fa il computo delle note e alcuni fanno a gara a chi ne riceve di più.
Un tempo se un’insegnante raccontava al padre di qualche performance negativa del figlio, il padre dava un bel ceffone in pieno viso al ragazzo e, mortificato, salutava la professoressa. Oggi è già tanto che un’insegnante rimanga indenne.
Un tempo si diceva Professore e Professoressa, oggi solo Prof.
Un tempo il voto era ad insindacabile giudizio dell’insegnante. Oggi non è più insindacabile.
Un tempo il 10 non era contemplato e quando accadeva ne parlava tutto l’istituto. Oggi il tormentone è: “Quando mette 10?”
Un tempo tutti facevano religione. Oggi non fanno religione neanche coloro i cui genitori hanno dato il consenso.
Un tempo fare una ricerca voleva dire impararla. Oggi solo scaricarla.
Un tempo c’era un quaderno per ogni disciplina, oggi un raccoglitore ad anelli per tutto.
Un tempo i ragazzi erano sensibili. Oggi sono sensibili e suscettibili.
Un tempo, quel tempo di cui io parlo, non è poi così lontano. Com’è possibile che tutto sia cambiato nell’arco di neanche una generazione?