Si intitola Classe terminale il nuovo libro di Antonio Ferrero, edito questo mese da Edizioni Clandestine. E non è solo il nome gergale dell’ultimo anno del percorso di studi, ma anche un giudizio netto e appassionato sulla situazione in cui versa il sistema scolastico italiano.
L’autore, saggista e romanziere, descrive il contesto che
meglio conosce, essendo docente da quasi vent’anni.
Dovrebbe essere un normale liceo, quello in cui insegna il veterano professor Romeo Portinari. E invece è il ritratto della scuola
moderna, che sforna generazioni di illetterati, a causa dei mancati investimenti dei governi di ogni colore.
Lo scadimento qualitativo non è solo una sensazione, lo dicono anche i numeri: sulla scuola l’Italia investe meno della media OCSE. La scuola così com’è non funziona, ma dove sta la colpa dell’impasse? Nelle sconclusionate riforme, nel precariato, nelle famiglie o proprio nei ragazzi, che antepongono l’iperconsumismo mediale allo studio?
Romeo Portinari, insegnante di lettere all’istituto Tarcisio Buttafuori, in questo romanzo elenca uno dopo l’altro le gravi storture e le lacune dell’attuale Pubblica Istruzione, stilando una raccolta di 95 motivi per cui si sente rifiutato da quella stessa scuola che ha servito per quasi mezzo secolo, e che ora fa acqua da tutte le parti. Si parla solo di tagli: niente palestre, via le attività scolastiche complementari, ridimensionamento dei servizi, dei docenti e della loro libertà di parola.
«Una volta la scuola era veramente maestra di vita.
Vi succedevano cose bellissime, per gli insegnanti e per i ragazzi. E si imparavano un sacco di cose reciprocamente.»
Vigeva un modello che richiedeva studio, impegno, rispetto delle regole.
Che formava persone adulte, non somari.
Oggi l’istruzione è farcita di bellissimi termini quali riforma, lavoro, impiego, professionalità, merito, didattica, multidisciplinarità, ma quasi mai cultura. Gli studenti si distinguono per codici e linguaggi propri, non
sanno scrivere né esprimersi, ignorano il rispetto per l’adulto, seguono una moda palesemente scomoda, usano le nuove tecnologie solo per divertimento. E, ovviamente, detestano lo studio.
Sui docenti intanto piombano assurde riforme che li privano di originalità, li costringono ad applicare vergognose attenuanti in pagella e a non bocciare gli alunni per salvare i colleghi precari.
Insegnanti terrorizzati dall’idea di perdere ore di lezione, di non finire il programma entro giugno.
Perché la missione non è più formare cittadini consapevoli, bensì tirare in qualche modo i ragazzi fino alla “classe terminale”. E così sia.