Scuola di un paese di campagna negli anni 60: la scuola è vecchia e grigia, con finestre tanto alte che si vedono solo i tetti delle case vicine ed il cielo. Le tende, che si raccolgono faticosamente a pacchetto, hanno uno strano colore beige, per il troppo sole e per la polvere di anni.
Banchi neri, tristi e segnati da generazioni di pennini e temperini, con il calamaio mai ripulito, dove l’inchiostro, rabboccato diligentemente dalla bidella, diventava spesso un grumo, per la gioia di chi usava magistralmente il pennino come fionda. Le uniche note di colore erano le lettere dell’alfabeto appese ben in alto, e la carte geografiche.
E poi ancora, i gabinetti in mezzo al cortile, alla turca, che ai bambini della prima elementare facevano paura, il cortile sterrato, polveroso a fine anno scolastico, un vero pantano in inverno.
Classi di 25, 30 alunni. Una sola maestra. Bastava, per insegnare e mantenere l’ordine. Qualche volta abitava in paese, ancora più temuta perché magari incontrava mamma o papà e le birichinate non erano più segreti, oppure arrivava dalla città, passata al setaccio fine dalle mamme che poi copiavano le gonne o il suo modo di pettinarsi.
Scuola di campagna negli anni 60: le note erano note, tornare a casa con una mezza paginetta scritta con inchiostro rosso da far firmare… ahia! E se le maestre, soprattutto quelle vecchia maniera, nubili e severe, appioppavano qualche salutare scapaccione, matematico che a casa ne prendevi due. Poi ne parliamo, e niente difesa ad oltranza degli amati pargoli: le maestre mettevano in riga anche i genitori, senza lasciarsi troppo intimidire. Scuola di vita.
Scuola di campagna negli anni 60: non c’erano le udienze, con i genitori in fila a fare il conto dei quanto costa quella borsa, o a voler insegnare agli insegnanti il loro mestiere. C’erano le mamme, che capitavano in classe durante l’intervallo o al mattino presto, alcune eleganti e profumate, con la piega fatta apposta il giorno prima, altre con le mani ruvide e arrossate, magari un vago odore di campagna o di stalla che neanche il sapone di Marsiglia riusciva a togliere di dosso. Le prime cercando di mettersi al pari della maestra, le seconde intimidite da quelle donne “studiate”, da cui erano trattate con rispetto, o qualche volta con alterigia. La sfilata delle varie umanità.
Scuola di campagna anni 60: con il 7 in condotta ti bocciavano. Sicuro come l’oro.
Ebbene lo confesso: ho preso 7 in condotta. Oggi potrebbe essere un vanto, allora erano dolori.
Anno scolastico 66/67, nevosa mattina di gennaio. La classe era decimata dal morbillo e dalla nevicata. Niente pulmini o mamme con suv: soprattutto chi abitava nelle cascine, in giornate come quelle era obbligato a starsene a casa. La corriera fermava lontano e le famiglie dovevano badare alle stalle: i bambini stavano a casa, accudendo alle galline ed ai conigli, mentre gli altri, che abitavano in paese, fortunati o sfortunati dipende dal punto di vista, si distribuivano in aule grandi, aspettando la maestra.
Quella mattina la mia maestra, che arrivava dalla città, era rimasta bloccata dal traffico, che anche se era il traffico degli anni 60, sempre traffico era. In classe…be’, il solito. Il capoclasse che tentava di mantenere l’ordine, segnando dietro la lavagna i buoni (che se ne stavano al loro posto a colorare, a leggere, a chiacchierare tranquillamente con il vicino di banco) e i cattivi (occupati a tirarsi cancellino, gessetti, palline di carta, a giocare agli indiani). L’arrivo della maestra passò inosservato per qualche secondo. Poi, la gelata notturna.
“Aprite il quaderno dei compiti e scrivete: oggi mi sono comportato male, ho disturbato le lezioni delle altre classi, urlando e correndo. Alla prossima pagella avrò 7 in condotta.”
Qualcuno si mise a piangere, altri sghignazzarono, si sentirono degli “non è giusto però, io ero al mio posto!” ma sottovoce. Nessuna protesta. A casa ci fu ben poco da spiegare: i genitori conoscevano i loro polli. Alcune mamme, le mamme di quelli “buoni”, furono incaricate di mediare con la maestra, che rimase irremovibile. Condotta: sette, con la bella calligrafia della segretaria. Per qualcuno era l’unica sufficienza, assieme alle assenze. Per altri… un’onta.
Alla fine dell’anno scolastico comunque quasi tutti i sette diventarono otto e nove, nessun dieci. Qualche sette rimase, e la bocciatura arrivò, come promessa.
Scuola di campagna anni 60: a volte mi pare di sentire la campanella e il ricordo di quegli anni sfuma nella nostalgia per brave maestre, che sapevano farsi ricordare. Anche con un 7 in condotta, meritato o meno che fosse.
Boccalari Susanna, classe 1957. Bancaria con il vizio della scrittura e della lettura, che nella scatola della pagelle conserva ancora con cura quella con il 7 in condotta.