I docenti e i docenti precari in lotta rispondono agli auguri del ministro Profumo

Ministro Profumo,

anche noi le auguriamo una Pasqua serena, ma auspichiamo che sia, nel contempo, per Lei, una Pasqua di riflessione, di autoanalisi e, soprattutto, di profonda resipiscenza, dal momento che constatiamo una dolosa e sconcertante discrasia, al limite della dissociazione mentale e morale, tra il valore che Lei sembra attribuire alla Scuola così come noi la intendiamo e difendiamo, dipingendola, nei suoi quadretti un po’ stucchevoli, come una comunità sollecita verso i bisogni degli alunni e devoluta allo scopo di educarli alla consapevolezza e all’autonomia, e la Scuola che invece Lei, nonostante dimissionario, sta preparando per le nuove generazioni, una Scuola disumana, asfittica, meccanizzante, automatizzata, tecnologizzata in modo superficiale e maldestramente propagandistico ma nella sostanza medievalizzata e classista; una Scuola decerebrata e disanimata, priva di memoria storica e privata dei tempi necessari alla maturazione; una Scuola, soprattutto, spietata e repulsiva verso chi non possiede già per “natura”, ovvero per ascendenza familiare, il bagaglio economico e culturale necessario a proseguire con successo gli studi.

Dice di aver imparato tanto dal contatto con noi, ma noi non abbiamo percepito la reciprocità di questo rapporto. Non abbiamo potuto confrontarci, infatti, nonostante Lei ci riconosca competenza e abnegazione, né siamo mai stati interpellati come tecnici esperti della didattica e della “paideia” a largo raggio, prima che fossero emanati da parte sua, con il solito atto d’imperio, provvedimenti che stravolgono la facies del nostro lavoro e della Scuola.

Ci riferiamo, in particolare, alla proposta di ridurre di uno o due anni l’iter formativo degli studenti, assolutamente aberrante, nonché all’ultimo decreto sulla valutazione delle Scuole, già famigerato e contestato anche da alcuni dirigenti assennati, che surroga e reintegra i contenuti dell’odiosa Legge “ex Aprea”, respinta a prezzo di manganellate che fanno ancora male a quegli studenti che Lei ora blandisce, e che ci umilia profondamente, calpestando la libertà d’insegnamento sancita dalla Costituzione e riducendoci a “facilitatori” nell’apprendimento di idiozie spacciate per nuove frontiere della “logica” (come se ne esistesse una sola).

Mentre nei paesi di area anglosassone si rivoltano contro la stoltezza dei quiz che prosciugano e inaridiscono l’intelletto, al grido di “Testing is no Teaching!”, noi importiamo, da bravi necrofili provinciali, i loro cadaveri pedagogici, propinando questi test fallimentari sia ai neolaureati (Lei ricorderà che i quiz dell’ultimo TFA sono stati proscritti da Luciano Canfora e da altri 26 paleoumanisti italiani di fama internazionale, che hanno denunciato al Presidente della Repubblica la loro totale inadeguatezza all’accertamento delle conoscenze degli aspiranti), sia ai concorsisti, partecipanti ad una surreale selezione illegale e demagogica, aspiranti a un posto che non c’è, mortificati nella loro professionalità e diffamati, insieme ai colleghi di ruolo, tramite campagne vergognose, che si sono spinte fino alla pubblica menzogna (ricorderà anche, ne siamo certi, le sconce bugie dette da Monti sulla mancata accettazione, da parte della nostra “privilegiata corporazione” di un sopruso intollerabile, alle quali Lei stesso fu chiamato a porre rimedio sostenendo un confronto televisivo con Salvatore Settis, altro inascoltato grande intellettuale di questo ingrato paese).

Dice che spera che la Pasqua ci aiuti a riscoprire il senso della comunità. Noi Le rispondiamo che non abbiamo bisogno della Pasqua, per questo, Signor Ministro, perché la solidarietà, quella più forte, vera e fraterna, l’abbiamo sviluppata in piazza, ritrovandoci fianco a fianco dietro gli striscioni, nei cortei di protesta, urlando insieme la nostra rabbia contro la vostra arroganza e i vostri tentativi di annichilire la Scuola statale, un tempo riequilibratore sociale primario di questa disgraziata Italia che ha smarrito se stessa e si è resa insolvente nei confronti delle nuove generazioni, prospettando loro un futuro di lavoro dequalificante e frustrante dopo una formazione insufficiente, confusa, banalizzante.

Lei fa riferimento insistentemente alla “competitività” delle Università, ma confonde la competitività con l’esclusione: sono ben 58.000, Signor Ministro, gli studenti che quest’anno mancano all’appello, nelle nostre Università; 58.000 ragazzi che non hanno potuto iscriversi per i costi eccessivi, per la mancanza di prospettive e di strutture, per i tagli feroci al welfare e ai trasporti, che disincentivano gli studenti pendolari, per la predisposizione di percorsi elitari che premiano solo chi già è integrato nel sistema e appare chiaramente destinato a mettervi le radici. Questi 58.000, cui si aggiungeranno gli altri, coveranno rancore infinito per le opportunità che sono state loro sottratte, creando un clima sociale teso e greve.

Ad essi si aggiungono i ricercatori sfruttati e mai stabilizzati, costretti ad emigrare per essere valorizzati, e perfino i professori ordinari, rimasti basiti di fronte ai sistemi di “valutazione” draconiani e improntati ad un’imbarazzante esterofilia applicati dall’ANVUR, nuova divinità della selezione darwiniana e del finto merito, che già sta marginalizzando le migliori produzioni scientifiche in molti campi, premiando il conformismo e creando dissapori e rivalità in ambiti in cui la collaborazione è fondamentale.

Lei paragona le aule ai templi pagani: il parallelo è molto aulico, ma sarebbe anche veridico se, per esempio, sulle scuole confessionali e private non continuassero a piovere finanziamenti incostituzionali, mentre ai genitori dei nostri alunni vengono richiesti sempre più sostanziosi e necessari “contributi volontari”, e sarebbe anche pertinente se la paganità fosse assurta a metafora di un atteggiamento euristico aperto e antidogmatico… Ma la Scuola che state creando, obbligandoci a “somministrare” agli studenti la cicuta dell’Invalsi, appare, invece, come l’esatto calco di una Chiesa che professa una Verità assoluta, che non ammette contestazione e non tollera alternative teoretiche!

Il richiamo all’Europa, poi, Signor Ministro, nella forma in cui viene da Lei fatto, è servile e denota una subordinazione intellettuale e politica che non ha ragion d’essere. Noi non dobbiamo dimostrare di essere all’altezza dell’Europa: siamo Europa anche noi e, anzi, un tempo, prima delle riforme esiziali che avete attuato, eravamo oggetto di ammirazione da parte delle altre nazioni per il nostro sistema scolastico, con speciale riferimento alla scuola elementare, devastata dall’assassinio della didattica modulare e da una revisione fintamente progressista e modernizzante dei programmi, che spesso impedisce ai discenti perfino di arrivare a padroneggiare la propria lingua madre!
Basta, per favore, con questo spauracchio puerile dell’Europa-matrigna che ci giudica e punisce; basta con questo alibi comodo che il MIUR da sempre adopera strumentalmente per infierire contro la Scuola e i docenti, ignorandone, invece, le direttive e i vincoli quando si tratti di stabilizzare i docenti artatamente precarizzati (il che assicurerebbe continuità didattica agli studenti sfiduciati, sempre più inclini all’abbandono scolastico), o di adeguare gli stipendi degli insegnanti italiani a quelli degli altri paesi comunitari!

Infine, vorremmo dirLe che la didattica “a misura” degli studenti non può essere elaborata senza interpellare gli interessati! Chi Le ha riferito che i libri multimediali, per la cui fruizione l’80% delle scuole non è attrezzata (protestano già gli editori e i dirigenti) siano graditi agli studenti? Quale norma costituzionale Le dà modo e diritto di interferire con le metodologie di insegnamento, strettamente legate ai contenuti disciplinari? Il libro, quello di carta, è uno strumento duttile, un compagno che può essere sfogliato in diverse direzioni, su cui si possono fare annotazioni personali e che può essere portato anche in treno, per ripetere l’ultimo paragrafo, per gettare di nuovo l’occhio sulla riga astrusa, che tutt’a un tratto si fa familiare…
La modernità non sta nei tablet e nelle lavagne multimediali, utili a far concludere ottimi affari a fornitori pronti a gettarsi sul nuovo mercato; la modernità sta nella libertà di rielaborare i concetti, nel coraggio di smascherare i presunti precetti e nella capacità di modificare i vigenti assetti!

Anche noi ci sentiamo fortemente responsabili verso i nostri studenti, nostri figli, e verso quella Scuola che Pietro Calamandrei definiva “un organo costituzionale”. Anche noi siamo orgogliosamente professori, ricercatori inesausti e madri e padri preoccupati per la tenuta della democrazia e del tessuto culturale del paese, ed è per questo che non smetteremo di lottare per arginare le derive del Suo agire solipsista e distruttivo, nella speranza di poter al più presto interloquire con referenti più rispettosi, sensibili e dialettici.

Abbiamo scelto di diventare professori per essere liberi e dignitosi e per aiutare i nostri studenti ad amare la libertà e la dignità più di ogni altro effimero successo. Il grande archeologo Bianchi Bandinelli soleva dire che non sono le perle a fare una collana, ma il filo: ecco, i nostri studenti non vanno selezionati e “scartati” forsennatamente come le perle buone o difettose, ma vanno tutti preparati e seguiti perché costituiscano quel filo robusto senza il quale le perle restano neglette e non brillano, perché non c’è nessuno che sappia riconoscere il loro valore.

Le porgiamo di nuovo i nostri auguri di renovatio spirituale e morale, sinceramente e speranzosamente.

I docenti e i docenti precari in lotta


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