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Il governo uscente, sulla scuola, è tutt’altro che dormiente: lavora con arroganza e sfrontatezza per ultimare il suo progetto scellerato e indicare le linee per il prossimo. Firma un decreto sulla valutazione del sistema scolastico nazionale e propone di ridurre la durata delle scuole superiori di un anno. Straordinaria proposta, se si pensa che tale “progetto” si staglia sullo sfondo di un sistema scolastico allo sfascio, uno scenario universitario deprimente e in costante contrazione per il numero di iscrizioni e di laureati, sulla sempre più alta richiesta di specializzazione e di qualifica professionale avanzata dal mondo del lavoro. Non colpi di coda, ma colpi di scure! Altro che spallate elettorali e prospettive di cambiamento: ci attendono battaglie durissime e, secondo me, il peggio deve ancora venire! E tutto, favorito da un buon 60/70 % degli italiani che ancora si ostina a sostenere, implicitamente, queste politiche! Ma che futuro hanno immaginato gli italiani per il loro Paese? Offuscati e rimbambiti da una campagna elettorale totalmente sbilanciata e oltraggiosa per toni che hanno caratterizzato un dibattito vuoto e deprimente, dobbiamo persino subire che il MIUR, attraverso il suo illustre Ministro Profumo, abbia divulgato, il 6 marzo scorso, le “Nuove Indicazioni nazionali per il Curricolo della Scuola di base” ennesimo contenitore vuoto e demagogico, pensato a costo zero, visto che non è accompagnato da nessun investimento per la scuola pubblica che di tutto avrebbe bisogno fuorché di indicazioni scontate e che offendono la professionalità dei docenti italiani.
Ma la scuola, dopo qualche protesta fatta all’indomani delle illegittime proposte del governo uscente relative all’aumento dell’orario di lavoro dei docenti, che fine ha fatto? Chi la difenderà?
I cambiamenti, è vero, dovrebbero procedere dal basso, ma dovrebbe essere spezzata la logica clientelare che ha determinato, anche nell’ultima tornata elettorale, un risultato avvilente quanto sconcertante che ha premiato, pur nella perdita generale di consensi, l’affermazione delle stesse compagini politiche che hanno sostenuto il governo Monti e la cui ideologia sulla scuola pubblica era già stata palesata ampiamente.
E mentre in Parlamento a fatica si cercano i giusti equilibri per assicurare al Paese il clima adeguato a uscire dall’empasse post elettorale, il MIUR prosegue nei suoi programmi che, negli ultimi giorni hanno visto una sorta di impennata, forse con la volontà di non lasciare qualcosa di incompiuto. Il peggio è, che tutte “geniali” innovazioni si stagliano su una quadro tutt’altro che rassicurante, nel quale emergono contraddizioni di ogni genere e di una tale gravità che ben si concilia con la visione a dir poco miope che ormai caratterizza questo dicastero.
Per fare solo qualche esempio, come concilierà, il MIUR l’autonomia con il promesso sistema di Valutazione nazionale, che ricade su una scuola svilita, deprivata, in cui gli insegnati dovrebbero lavorare in assenza di risorse? Che senso avrà prevedere l’autovalutazione, se questa sarà imbrigliata in “un fascicolo elettronico di dati messi a disposizione dalle banche dati del sistema informativo del Ministero dell’istruzione (“Scuola in chiaro”), dell’ INVALSI e delle stesse istituzioni scolastiche, […] secondo un format elettronico predisposto dall’Invalsi e con la predisposizione di un piano di miglioramento”? Dov’è questo piano di miglioramento? Forse avremmo dovuto già averne uno, se i due ultimi ministri hanno sentito il dovere di “mettersi in cattedra”, insieme al Ministro Monti, per sentenziare sulla scarsa competenza dei docenti italiani, sulla loro irresponsabilità, sulla scarsa competitività del sistema scolastico italiano rispetto al quadro europeo. Asserzioni demagogiche quanto mistificanti, perché nascondono sotto un vergognoso tappeto, i veri gravi problemi della scuola e dei docenti italiani, costretti da anni a fare i conti con tagli economici indiscriminati e irrazionali che hanno impoverito il sistema e reso ingestibili i contesti scolastici inseriti nelle realtà più problematiche del Paese. Aumenta la dispersione scolastica, aumenta il bornout tra i docenti, si vorrebbe aumentare il numero delle ore di insegnamento a parità di stipendio, già al di sotto della media europea, diminuiscono gli iscritti alle università, i laureati… Quanto dobbiamo ancora vedere prima di risalire la china? E negli ultimi giorni, si è diffusa persino una notizia secondo la quale si vorrebbe sperimentare, in nome di una oggettività senza criteri, la correzione dei compiti di una classe da parte dei docenti di un’altra! Ma quale oggettività andiamo rincorrendo? Che ne è delle grandi acquisizioni in ambito pedagogico secondo le quali la scuola deve valorizzare la soggettività, il percorso individuale, la personalità e le inclinazioni di ciascun alunno? Ragioni sicuramente sufficienti a desiderare di porre un rimedio urgente al progressivo inarrestabile declino della scuola pubblica, avviato e promesso, investendo dapprima, poi innovando gradualmente. Se non si riqualifica l’insegnamento e non si posiziona nuovamente al centro del momento educativo la relazione docente/discente, nulla potrà essere fatto e potrà produrre risultati apprezzabili. E’ evidente che chi ha avuto le “grandi idee” appena accennate, di scuola, di insegnamento, di pedagogia non ne sappia nulla!
Interdetti e increduli, molti docenti stanno manifestando in più sedi il loro dissenso, ma non basta. Per quello che la scuola costituisce nella vita sociale e culturale del Paese, per l’importanza che ricopre nella crescita dell’individuo e della sua affermazione, non ritengo possibile che adattarsi alle circostanze. Anzi, penso sia opportuno incentivare e sostenere la spinta all’aggregazione e al coordinamento di tutti i soggetti interessati, non soltanto quindi degli insegnanti, visto che la scuola è un “bene comune”. Bisogna quindi riappropriarsi dell’obiettivo condiviso di ottenere che la scuola statale si riaffermi nel ruolo istituzionale che la Costituzione le attribuisce, organizzandoci in modo urgente per contrastare tutte le contraddittorie “innovazioni” che stanno per ricadere dall’alto sulla scuola, senza concertazione, senza interpellare le sue varie componenti, senza un reale studio di fattibilità ed una adeguata documentazione a sostegno.
Valeria Bruccola
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