Non sei ancora fan di Scuola Magazine su Facebook? Clicca MI PIACE e diffondi fra i tuoi contatti!
Qualcuno ha scritto che chi non conosce la storia è condannato a riviverla. In questi giorni di attanagliante angoscia, l’impressione che si ha è che in questo paese ci sia chi deliberatamente intende condannarci a riviverla affinché non osiamo più studiarla, affinché rinunciamo definitivamente a sviscerarla e a interrogarla per “situarci” e per orientare presente e futuro.
Dal 2008 la scuola subisce attentati ministeriali e governativi che hanno leso gravemente il diritto alla continuità, all’integrazione, alla gratuità e alla completezza dello studio e hanno negato ildiritto alla stabilizzazione di migliaia di precari, sulla cui condizione inaccettabile e intollerabile si sono giocate partite politiche e sindacali invereconde e squallide.
Dal 2008 presidiano le piazze d’Italia e combattono con ogni mezzo, in difesa della scuola pubblica e statale, depauperata di 8 milioni di euro e mutilata di 150.000 dei suoi lavoratori, tra docenti ed Ata, migliaia di studenti tramortiti e confusi, di precari esasperati, di genitori di alunni disabili. Questi ultimi, infatti, sono considerati ormai motivo di imbarazzo nella scuola-mercato aziendalizzata e defunzionalizzata, tanto da essere vergognosamente allontanati dalle aule in cui si svolgono i costosi, inutili, ridicoli e contestatissimi quiz Invalsi, rinnegati dai loro stessi ideatori, che il governo Monti si è preoccupato di rendere obbligatori non appena è stato nominato da chi, dopo il crollo di Berlusconi e la fine della devastante “èra Gelmini”, non ha ritenuto opportuno ridare la parola al popolo, e che costituiscono, con il loro modello standardizzante e la loro finalità gerarchizzante, la definitiva mortificazione dell’autonomia valutativa dei docenti e lo strumento più idoneo a creare sperequazione e violenza.
Violenza, sì, perché quando la mobilità sociale viene bloccata e le pari opportunità vengono cancellate si creano le condizioni per una guerra civile e si gettano i semi dell’odio di classe; violenza, perché quando si sottraggono, a docenti che educano e istruiscono per e con passione, la dignità e i frutti del proprio lavoro, per favorire diplomifici privati e confessionali, riversando su di essi fiumi di denaro pubblico, in spregio a una Costituzione divenuta carta straccia, si uccide la speranza, si umilia l’onestà, si alimenta il qualunquismo rinunciatario, si condanna il paese all’imbarbarimento da ignoranza “di ritorno”.
Quelli che da anni denunciano l’asservimento della cultura ad un’economia resa asfittica dalla corruzione e dagli sprechi; quelli che, fin dall’emanazione della L.133, che ha spacciato per “riforma” un licenziamento di massa senza precedenti, contestano le politiche scolastiche fallimentari e scopertamente fasciste che sono state e che vengono tuttora praticate, continuano e continueranno a smascherare le ipocrisie di un sistema liberticida e determinato ad azzerare la dialettica e il pluralismo.
Già il 21 aprile, quando i movimenti autorganizzati dei precari hanno sfilato a Milano per protestare contro il DDL 953 Aprea-Formigoni, che zittisce per sempre gli studenti, eliminandone la componente dagli organi di gestione della scuola, istituzionalizza il reclutamento su base clientelare, prevedendo la chiamata diretta da parte dei presidi-padroni e sancisce la privatizzazione definitiva della scuola pubblica, consentendo ai privati di statuire i programmi e stabilire le priorità della formazione scolastica, era stata fissata al 26 maggio una grande mobilitazione nella capitale.
Lo squarcio prodotto nell’anima e nella coscienza dei docenti e dei precari dall’orrendo e vigliacco attentato del 19 maggio scorso, che ci ha strappato un’alunna e ha traumatizzato indelebilmente tutti i suoi compagni d’Italia, ci induce a raddoppiare i nostri sforzi per riguadagnare agli studenti e alla libertà di insegnamento i perduti spazi e i perduti orizzonti di affermazione e di partecipazione democratica. I precari sono scesi oggi in piazza, a Roma, con i contrassegni del lutto che ha colpito la Civiltà e la Bellezza, per rivendicare il diritto inalienabile a fare e ad avere una scuola laica, pubblica, aperta, funzionale, capace di costituire il luogo privilegiato del dibattito ideologico scevro da pregiudizi e da veti, capace di rappresentare lo spazio materiale e mentale della prefigurazione e configurazione degli assetti politici, etici e culturali dei prossimi decenni.
Questa scuola, la scuola che ama e che propugna chi caparbiamente è tornato in piazza, non è né può essere il luogo in cui si pensa solo“ai compiti, allo studio, alle amicizie e allo sport”, come ingenuamente ha auspicato il ministro Profumo nel suo stucchevole e deamicisiano comunicato alle scuole, all’indomani del tragico e insopportabile scoppio di Brindisi, perché la scuola non è un luogo “separato” e “protetto” dalla vita “vera”, non è un limbo o una propedeutica alla vita, ma è la vita pulsante del paese, la cartina di tornasole del suo sviluppo e del suo progresso, del suo equilibrio e delle sue potenzialità.
Il ministro ha promesso che quanto avvenuto a Brindisi “non avverrà più”, come un bambino chiederebbe scusa per una marachella… Gli studenti vengono, così, nuovamente insultati da una retorica melensa che li dipinge al centro delle paterne e materne preoccupazioni di politici che puntualmente, poi, come avvenuto pochi giorni fa in occasione della visita di Mario Draghi a La Sapienza, mandano i poliziotti a manganellarli quando esprimono il loro dissenso, e fintamente rassicurati da promesse roboanti che giungono sempre ex post, sempre dopo il sangue.
Sarebbe bastato garantire equità e far pagare il debito a chi lo ha dolosamente e artatamente contratto per evitare che si arrivasse all’oscena bestialità di Brindisi e a quella forma estrema di disperazione che impazza per il paese e miete vittime a decine tra gli onesti, prostrati da una sensazione di fallimento che non può né deve attanagliare i fautori dell’economia “reale”, bensì i responsabili della feroce speculazione finanziaria.
Se è vero che, come dice il ministro Profumo, sono dei “deboli” quelli che hanno fatto esplodere corpi e anime delle nostre alunne pugliesi, è anche vero che hanno colpito un bersaglio indebolito dall’incuria e dall’accanimento distruttivo di chi della scuola seria e vera ha finora mostrato di avere paura.
I precari, addolorati e feriti hanno ricordato, oggi, in quella capitale che gli studenti, finora sempre repressi e inascoltati, bloccarono pacificamente due anni fa, chiedendo il ritiro della controriforma Gelmini-Tremonti, le loro ragioni e le alunne brindisine straziate, e hanno ribadito – loro sì, responsabilmente e coerentemente con quanto finora proclamato! – che la scuola non ha bisogno di messaggi consolatori ma di atti riparatori, non ha bisogno di irregimentazione ma di valorizzazione, non ha bisogno di tutori, ma di tutele.
Marcella Raiola
You may also like
-
Lettera aperta All’On. Ministro dell’Istruzione Prof.ssa Maria Chiara Carrozza
-
La scuola che non vogliamo – di Valeria Bruccola
-
Rivoluzione Civile e il suo impegno per la Scuola Pubblica
-
Abbandono scolastico: Sicilia peggio della media nazionale e lontana dall’obiettivo europeo
-
Docenti e formazione: La rivoluzione con il sorriso