Mentre alle elementari sembrava che tutte le materie insegnate fossero amalgamate tra loro, non posso dire la stessa cosa nel corso delle scuole medie e superiori. L’approccio con gli alunni degli insegnanti era quasi sempre il medesimo: poche parole di presentazione, gli scolari che pronunciavano il loro nome per permettere al professore di iniziare il processo di memorizzazione, e poi via con la materia nuova, senza che il docente indicasse una sorta di tracciato, un modo per avvicinarsi ad essa, per assimilarla meglio, ed eventualmente le soddisfazioni che avremmo potuto trarre dall’apprendimento. Sarà che alle elementari era tutto nuovo, fresco, embrionale, e l’elemento giocoso cementava il tutto, ma in seguito ho percepito spesso delle materie come ostiche, pesanti. Difficilmente l’insegnante trasmetteva una propria e vera passione per la sua materia, e questo si avvertiva, spegnendo la curiosità iniziale degli studenti. Si aveva la fortuna a volte di imbattersi in un professore più entusiasta e coinvolgente, ma difficilmente continuava il suo lavoro nella stessa scuola: generalmente veniva trasferito prima del previsto (forse a causa della sua originalità nel metodo d’insegnamento).
Si doveva incentivare allo studio, e non appiattire attitudini personali e creatività, come se lo scolaro fosse invece costretto a svolgere un tipo di lavoro ripetitivo e meccanico.
La mancanza di impegno genera sovente un forzato disimpegno.